MIELI DELLA LUNIGIANA DOP

"MIELE DELLA LUNIGIANA" DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA

Relazione Storica

Le prime notizie certe sull’apicoltura in Lunigiana le possiamo ricavare dai libri dell’Estimo generale dell’anno 1508 della Comunità di Pontremoli, che è la prima fonte di informazioni dopo la completa distruzione e l’incendio della città ad opera dell’esercito di Carlo VIII, con perdita di tutti i documenti precedenti. Da questo Estimo risulta che già in quel periodo l’apicoltura era considerata un’attività produttiva da reddito, tanto è vero che era prevista una tassa per ogni alveare posseduto. Gli alveari censiti in quell’anno erano 331; per avere un’idea dell’importanza della produzione di miele, basta confrontarla al numero di capi di bestiame censiti: 447 mucche, 15 asini, 32 cavalli, 41 maiali ecc. L’apicoltura sembra essere nella zona un’attività specialistica in quanto era diffusa la pratica della conduzione degli apiari per conto terzi (quos tenet abeo). Infatti i proprietari dei 331 alveari erano prevalentemente le famiglie ricche di Pontremoli, che li facevano custodire e condurre, con forme d’affitto o altro, agli abitanti dei paesi circostanti. Questi allevavano quindi alveari non solo per conto proprio, ma anche ‘per famiglie di Pontremoli” oltre che, secondo gli stessi Estimi, per le chiese del territorio. Per fare un esempio troviamo che, nel paese di Arzelato, le famiglie residenti erano 15, le mucche 2, gli alveari in proprietà 2, più 19 gestiti per le famiglie di Pontremoli, mentre a Careola le famiglie residenti erano 31, le mucche 3, gli alveari 44, tutti gestiti per famiglie di Pontremoli. Dall’analisi complessiva di questi dati si deduce che, in molti paesi, la maggior parte delle famiglie possedeva più di un alveare e che alcune famiglie avevano 14-20 alveari, dimostrando quanto fosse diffusa e radicata, già a quel tempo, la pratica dell’apicoltura nel territorio della Lunigiana. Facendo un esame dei siti in cui venivano posti i bugni si osserva il fatto che essi coincidono ampiamente con le postazioni oggi più utilizzate per gli apiari, dimostrando che già

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allora si era capito quali erano le zone migliori e più redditizie. L’importanza e lo spazio dell’apicoltura all’interno delle attività rurali in Lunigiana è confermata anche negli Estimi successivi a quelli del 1508. Da questi estimi si ricavano ulteriori notizie sull’utilizzazione dei prodotti dell’alveare: il miele veniva usato come dolcificante, come materia prima per dolci e come medicinale; la cera come materia prima per la costruzione di candele, che venivano preparate con un metodo che è arrivato quasi .inalterato fino ai giorni nostri. Il procedimento si basa sul riempimento di canne con cera fusa dopo avervi disposto lo stoppino. Dai libri parrocchiali si può vedere che compiti specifici delle cosidette “fabbricerie” delle parrocchie erano sia approvigionarsi della cera per le candele sia provvedere alla loro fabbricazione e questo avveniva in stretta relazione con il territorio di cui l’ apicoltura era una parte importante. Anche gli Statuti delle varie Comunità e gli Usi Civici confermano l’importanza dell’attività apistica in Lunigiana. In essi vengono regolamentati, con grande meticolosità e precisione, il recupero degli sciami vaganti, la collocazione dei bugni sul territorio ed altre operazioni di conduzione degli apiari, a testimonianza della consapevolezza del valore dell’apicoltura. Era regola che il proprietario di uno sciame avesse a disposizione 24 ore di tempo per il recupero, dopodiché il proprietario del terreno, su cui eventualmente si fosse fermato lo sciame, aveva la possibilità di recuperarlo ed entrarne in possesso. Documenti giudiziari del ‘700 testimoniano di dispute in tribunale per il furto di alveari.
In un documento del Comune di Pontremoli risalente al periodo napoleonico denominato “Stato informativo sugli alveari da miele e loro prodotti durante l’anno 1813”, si rileva un’elevato numero di alveari esistenti (800 bugni), con una produzione che ammontava a 2.000 Kg per quell’anno, con un mercato di miele che

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riguardava non solo l’ambito locale. Il documento fa riferimento ad una vendita 1.600 Kg di miele a Chiavari da parte di mercanti pontremolesi che acquistavano miele anche dai comuni limitrofi a Pontremoli.
Lo stesso documento dà notizia dell’esistenza di una cereria a Pontremo1i annotando che il consumo locale di cera è molto più alto della raccolta.
Dopo pochi anni nel 1852 il numero delle fabbriche di cera era salito a due: una di tale Nicola Albertosi e l’altra del Cav. Senatore Luigi Bocconi. Lo si desume da documenti prodotti in seguito ad un’indagine del Ducato di Parma e Piacenza nel Comune di Pontremoli sulle “fabbriche, officine e stabilimenti”.
Nell’ Atlante geografico, fisico e storico del Granducato di Toscana di Attilio Zuccagni Orlandini del 1832, nella “Tavola geografica, fisica e storica della Val della Magra” viene sottolineato come nel circondario pontremolese gli alveari fossero tenuti molto in conto. E’ interessante far notare che per nessuna altra zona della Toscana si usano per l’apicoltura gli stessi termini positivi che si usano per il Pontremolese.
Ad ulteriore testimonianza dell’importanza e del diffuso uso del miele nella zona va ricordato che nei ricettari di pasticceria del Cepellini (1850), che ha raccolto le varie ricette originarie, e che ancora oggi sono un punto di riferimento per gli operatori del settore, il miele figura come ingrediente fondamentale del dolce tipico della Lunigiana, la Spongata.